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Guerra in Ucraina: le ragioni storiche e politiche che hanno portato al conflitto

A cura di Marcello Rocco – Il 24 febbraio 2022 è iniziata la guerra unilaterale da parte della Russia nei confronti dell’Ucraina.

I dati del conflitto, in continua crescita, ora dopo ora, solo in parte danno l’idea dell’enorme tragedia di fronte alla quale ci troviamo.

L’ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha fatto sapere che almeno 331 civili sono stati uccisi, tra cui decine di bambini, mentre sono circa 675 quelli rimasti feriti dall’inizio dell’invasione russa.

Attualmente sono oltre 1,2 milioni le persone fuggite dal Paese, ha spiegato l’Alto commissariato Onu per i rifugiati. Il numero dei profughi cresce di centinaia di migliaia di persone ogni giorno, la stima attuale si aggira intorno a 1.209.976 rifugiati.

L’ONU prevede che quattro milioni di persone potrebbero volersi mette in salvo dal conflitto fuggendo dal paese.

Allo stato attuale la quasi totalità degli sfollati sono donne, bambini e anziani in quanto tutti gli uomini dai 18 e i 65 anni sono stati chiamati alle armi nel disperato tentativo di difendere il proprio paese.

Porsi da tifosi di fronte ad un conflitto bellico rappresenta sempre un grave errore per tale motivo abbiamo deciso di scrivere questo approfondimento avvalendoci delle competenze della dottoressa Valentina Spata (puoi appronfondire qui), Analista Medioriente e Geopolitica. Esperta in studi africani. Specializzata in Terrorismo internazionale con una tesi pubblicata dall’Osservatorio sul Mediterraneo. Esperta in Diritti Umani e Diritto dell’Immigrazione.  

Ovviamente siamo consapevoli del fatto che crimini del genere sono stati commessi anche da paesi occidentali, come gli Stati Uniti che, nel recente passato, hanno compiuto aggressioni a paesi sovrani basandosi esclusivamente su prove false e fake news, come, per esempio, nella guerra di invasione dell’Iraq che ha avuto come conseguenza la nascita del cosiddetto “Stato Islamico (ISIS)”.

Come non ci sfugge l’ipocrisia dell’Europa e della Nato nei confronti della Turchia, ostaggio del dittatore Recep Tayyip Erdogan, dove ogni giorno vengono violate i più elementari diritti fondamentali dell’uomo e della donna nell’indifferenza dell’occidente solo perché quest’ultima fa parte proprio della “North Atlantic Treaty Organization”.

Per tale motivo riteniamo necessario capire cosa sta succedendo in questo momento a livello globale e quali sono le reali motivazioni, storiche e politiche, che hanno portato all’occupazione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo guidato dall’ex capo del KGB Vladimir Putin.

A seguire l’intervista alla dottoressa Valentina Spata:

Il Presidente russo Vladimir Putin ha dato l’ordine di invasione dell’’Ucraina all’alba di giovedì 24 febbraio, dopo che il 21 febbraio aveva dichiarato l’indipendenza delle regioni separatiste del Donbass.
Perché Putin ha invaso l’Ucraina? Quali sono le motivazioni di questo atto di guerra?

Con le sue truppe e le sue armi, Putin dichiara guerra a tutto e a tutti, attacca l’Ucraina, l’intero ordine statuale in Europa, le democrazie occidentali, il diritto internazionale e mi permetto di dire anche la ragione.

Gli obiettivi di Putin sono tanti e diversi. Vuole deporre il Presidente ucraino Volodymyr Oleksandrovyč Zelens’kyj, garantire la capitolazione dell’Ucraina per farne uno stato satellite in stile sovietico come la vicina Bielorussia, mettere in secondo piano le forze Nato dimostrando la sua forza militare, mostrare al mondo le fragilità degli Stati Uniti e del blocco occidentale, dimostrare che l’occidente può essere sfidato. Vedremo cosa riuscirà a dimostrare alla fine di questo terribile e folle conflitto. Per adesso sappiamo che non sta andando proprio come aveva immaginato.

Detto ciò, la motivazione storica di questa invasione – che viene sottovalutata e che a mio avviso va presa seriamente in considerazione – ha origini antiche e molto profonde e riguarda l’idea di Putin della Russia e del suo popolo, “un solo popolo”, costituito da russi, bielorussi e ucraini. Questa visione per lui è una vera e propria ossessione che ha palesemente manifestato più volte. Nei suoi interventi pubblici, ha ribadito questo concetto di popolo unito e, in particolare, lo ha sottolineato, tipo avvertimento, dopo l’annessione della Crimea nel 2014. Nel suo saggio “Unità storica dei russi e degli ucraini”, pubblicato nel luglio del 2022, spiega che un solo popolo non ha bisogno di due nazioni e che chiunque provi a dividere questo popolo sta andando contro la storia e quindi contro la Russia.

Cosa intende Putin con l’affermazione “andare contro la storia” e non pensa invece che sia proprio lui ad andare contro quest’ultima visto l’attacco fatto a Lenin arrivando a dichiarare: “Lenin e i suoi associati hanno creato l’Ucraina moderna, strappando territori alla Russia”?

Putin torna sempre alle radici storiche dell’Ucraina criticando la politica delle nazionalità di Lenin e anche le misure di “korenizatsiya“, ovvero della costruzione di comunità nazionali che hanno proprie identità etno-culturali. Una politica che a suo dire “consolidò a livello statale la divisione tra i tre popoli slavo, russo, ucraino e bielorusso, al posto della grande nazione russa“. Eccoci, ritornati al concetto di “popolo unito”. Certamente, quando parla di “andare contro la storia”, intende che la fine dell’Unione Sovietica, che portò all’indipendenza delle Repubbliche sovietiche e quindi alla separazione tra Russia e Ucraina, abbia distrutto la Russia storica, disintegrando i confini russi.

Nel saggio, infatti, Putin sottolinea la sua convinzione affermando che i russi, i bielorussi e gli ucraini discendono dalla cosiddetta “Rus di Kiev”, ovvero discendono dalle tribù che crearono quell’entità monarchica che comprendeva tutto il territorio russo, quello ucraino e della Bielorussia. L’unità di queste tribù della “Rus di Kiev” era consacrata dalla conversione al cristianesimo ortodosso che per Putin rappresenta il fondamento della storia e della cultura della Russia che tiene uniti questi tre popoli.

Il presidente russo considera l’Ucraina come parte naturale della sua sfera di influenza e va tenuto presente che molti ucraini sono di madrelingua russa, ovvero nati quando il Paese faceva parte dell’Unione Sovietica prima di ottenere l’indipendenza nel 1991. Pertanto, l’obiettivo principale di Putin è quello di riportare alla luce la storia del “popolo unito” e riconquistare i territori perduti. Questa sua ossessione lo ha spinto ad invadere l’Ucraina due volte in meno di dieci anni. E quando dice che chi vuole dividere questo “unico popolo” si mette contro la storia, in realtà minaccia chiunque voglia intralciare il suo piano per raggiungere quell’obiettivo da cui è da sempre ossessionato. Penso che sarebbe disposto a perdere tutto per arrivare al suo scopo.

Il direttore de Le Monde, Jerome Fenoglio, nell’editoriale francese in cui analizza le radici profonde dell’attacco a Kiev, dice che “la deriva di Vladimir Putin discende dall’evoluzione clanica del capo del Cremlino che lo ha portato, fin dalla rivoluzione arancione del 2004, a considerare Kiev l’antagonista assoluta di Mosca, una vera e propria minaccia esistenziale”. L’Ucraina è una minaccia esistenziale per Putin, sicuramente tra le peggiori e intende riprendersela per annientarla e sottoporla all’influenza russa.

La crisi a cui si è arrivati oggi, però, trova un passaggio molto importante il 22 febbraio del 2014 (da non sottovalutare la data) quando il popolo ucraino, a seguito di numerose proteste, apre all’occidente cacciando l’allora Presidente filorusso Viktor Yanukovich, che non volle firmare il Trattato tra Ucraina e Unione Europea. Al suo posto fu eletto Petro Oleksijovyč Porošenko, filo occidentale. Perdendo la Presidenza in Ucraina, Putin perde il controllo ed il potere di quella nazione che lui ritiene essere parte fondamentale della Russia.
A differenza di quanto sostiene Putin, però, il popolo ucraino si sente molto vicino all’Europa e vuole farne parte, al contrario vuole liberarsi definitivamente dall’influenza russa. Il pensiero che paesi come l’Ucraina possano diventare filooccidentali è il motivo per la quale Putin attaccando l’Ucraina attacca anche l’Occidente, quindi anche l’Europa.

Quindi cosa accade dopo la fine del controllo russo in Ucraina?

A seguito delle proteste e dell’esilio di Yanukovich, viene instaurato in Ucraina un governo ad interim filoeuropeo che Mosca non ha mai riconosciuto, Putin per risposta diretta annette la Crimea e sostiene i separatisti filorussi che nel Donbass portano una guerra di otto anni, nonostante gli accordi di Minsk che sancivano il “cessate il fuoco”. Questa è la guerra dimenticata da tutto l’Occidente e che si è trasformata oggi nell’invasione dell’Ucraina.

Alla luce di queste motivazioni, viene da chiedersi: perché Putin ha deciso di invadere solo adesso l’Ucraina ponendo il tema dell’espansione della Nato? Quindi cosa c’entra realmente l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord?

Di recente, Putin ha accusato la Nato di volersi espandere in Ucraina. In realtà è l’Ucraina che ha chiesto l’ingresso nella Nato, quindi possiamo dire convintamente che quest’ultima non c’entra nulla.

Ucraina per la Russia vuol dire anche frontiera lunga 2.200 chilometri. Putin non vuole perdere la sua sfera d’influenza nell’area e pretende che la Nato rinunci alla sua espansione verso Est, ritirando le proprie truppe dalla Polonia e dalla tre Repubbliche baltiche e i propri missili da Polonia e Romania. La verità, però, è che nonostante l’’Ucraina vuole aderire alla Nato, non credo sia possibile al momento. Per cui, questa motivazione non la considero determinante per una invasione, al massimo possiamo dire che è concomitante ad altre cause.

Tra l’’altro, Putin sa che la Nato non interviene e, a tal proposito, si può permettere di imporre la “legge del più forte”, al momento pendente a suo favore.

Sono diversi i motivi per cui ha deciso di invadere adesso l’Ucraina ma ne voglio sottolineare due che toccano personalmente il capo del Cremlino: un motivo che, ha letteralmente scatenano la furia di Putin, è legato ad una vicenda in particolare di cui si parla poco. Lo scorso anno, l’Ucraina ha approvato una legge che vieta a tredici oligarchi russi di essere proprietari dei media che ovviamente influenzano la politica e l’opinione pubblica. Così, hanno colpito direttamente l’amico di Putin, Viktor Medvedchuk, uno degli uomini più influenti e ricchi del mondo. Oltre alla sua attività di petroliere, Medvechuk è il leader del principale partito filorusso d’Ucraina (opposizione), ed è il proprietario di un impero televisivo attraverso il quale diffondeva la propaganda di Mosca e influenzava la politica ucraina. Guarda caso, poco dopo l’arresto dell’amico, Putin ha iniziato a disporre le truppe russe al confine e ha scritto il saggio sul significato del “popolo unico”; il secondo motivo riguarda la sua eredità, ovvero il fatto che Putin ormai è alla fine del suo lunghissimo mandato presidenziale (4 mandati) ed intende lasciare una eredità forte che segue esattamente la sua linea imperialista. Per fare questo ha bisogno di recuperare la popolarità che sta perdendo e pensava di farlo con la guerra in Ucraina. Credo che la situazione gli sia sfuggita di mano e dovrà fare i conti con il suo popolo che già inizia a ribellarsi.

A tal proposito: quanto pensa stia incidendo la censura di Putin sui media russi e quali pensa possano essere le conseguenze delle manifestazioni di una parte sempre più consistente del popolo russo che eroicamente, a costo della propria vita e libertà, sta manifestando quotidianamente contro la guerra in Ucraina?

Putin da una parte sta bombardando l’Ucraina e dall’altra bombarda le voci critiche del suo stesso Paese. Addirittura, a Mosca si è riunito il Consiglio Federale, la Camera Alta del Parlamento russo, per approvare la legge marziale.

L’obiettivo della censura di Stato annunciata da Putin è quello di manipolare la narrazione degli attacchi indiscriminati in Ucraina da parte sua. Le autorità russe censurano tutti i media indipendenti e i social network più potenti come Facebook e Twitter e lascia spazio solo agli organi di stampa filogovernativi che tappano la bocca a chi è contrario a questa guerra, imponendo una narrazione del conflitto totalmente diversa da quella che tutti noi stiamo guardando con orrore e grande preoccupazione. La propaganda si avvale di ogni mezzo. Il ministero per l’Istruzione ha organizzato una lezione online per spiegare che “la missione in Ucraina è una necessità”. Alla Duma è stata presentata una legge contro i “social newtwork americani” che hanno lanciato una guerra dell’informazione contro la Russia. 

Quindi, possiamo dire che i media indipendenti tra qualche ora sono destinati al silenzio. Così come sono ridotte al silenzio le persone che manifestano a favore della pace, con la polizia russa che usa la forza per disperdere le proteste. Secondo l’Ong per i diritti umani OVd-Info, sono stati arrestati 8275 manifestanti in 67 città diverse ed il 24 febbraio il filosofo politico Grigory Yudin è stato torturato dalla polizia talmente tanto da perdere conoscenza ed essere portato in ospedale.

L’orrore più intollerabile è che anche gli anziani e i bambini sono stati portati con forza e violenza in questura, per il fatto di aver partecipato ad una manifestazione o semplicemente per aver tenuto in mano un cartello con la scritta “No guerra”.

Altro caso che è riuscito a fare il giro del mondo nonostante la forte censura di Mosca è stato quello che ha visto protagonista l’ottantenne Yelena Osipova, sopravvissuta all’assedio di Leningrado da parte dei nazisti nella seconda guerra mondiale, arrestata a San Pietroburgo proprio mentre protestava contro la guerra in Ucraina.

Ci troviamo in una situazione di violazione di diritti di libertà di espressione e manifestazione, oltre a violazione dei diritti della persona. Ma non mi sembra che Putin sia stato mai punito per le numerose violazioni di diritti nazionali, internazionali ed universali.

Però, se da un lato le autorità russe ricorrono sempre di più alla censura e alla repressione, dall’altro lato dall’opinione pubblica cresce l’orientamento contrario alla guerra e anche il malessere collettivo del popolo russo.

Perché è così importante il Donbass per la Russia di Putin?

Il Donbass è importante per chiunque. Ci sono i giacimenti di carbone e quindi motivi economici da non sottovalutare. Putin, sicuramente, teme che l’Europa possa impossessarsi della ricchezza mineraria della regione del Donbass e questo significherebbe togliere la potenza economica alla Russia.

Quanto durerà questa guerra?

L’idea di Putin era quella di una guerra lampo ma ha sottovalutato sia la resistenza ucraina che ha dimostrato grandissimo valore, sia la dura reazione dell’Europa e dell’intera Comunità internazionale che con le sanzioni (e non solo) ha colpito l’economia e la finanza russa.

Putin riuscirà a conquistare Kiev e a vincere questa guerra?

Non possiamo sapere e neanche ipotizzare quanto durerà questo conflitto ma penso che Putin potrebbe vincere questa guerra.

I russi hanno conquistato Kherson, la città portuale che si affaccia sul mar Nero. Prima o poi arriverà a conquistare anche Kiev. Per quanto ammiriamo la resistenza ucraina, non c’è partita militare tra l’Ucraina e la Russia. Quest’ultima è molte volte superiore.

Certamente Putin se ne poteva uscire da questa terribile situazione con l’annessione del Donbass. Adesso è complicato spiegare al mondo e ai russi, il caos che ha determinato. Deve spiegare alle famiglie dei combattenti russi il motivo per il quale molti di loro torneranno a casa dentro una bara.

Gli ucraini vogliono la “no fly zone” ma la Nato, rispetto a quanto decise per il conflitto in Iraq, questa volta si è pronunciata contro. A suo avviso quali sono le reali motivazioni di questa scelta?

Se la Nato interviene, entriamo ufficialmente in guerra. Gli ucraini hanno ragione a volere la “no fly zone” ed il Presidente Zelenskij ha fatto bene a chiederla agli Stati Uniti perché difendono la loro libertà ed il loro Paese. Chi non lo farebbe? La “no fly zone” significa che la Nato deve porre alla Russia il divieto di sorvolare lo spazio aereo dell’Ucraina e quindi decidere di entrare in guerra. E’ difficile scegliere di fare la guerra ma non possiamo biasimare chi non vuole morire tra le bombe e i missili.

Sono state tre le no-fly zone imposte. La più significativa quella dell’Iraq, a nord per difendere i curdi e a sud gli sciiti. E’ iniziata alla fine della Guerra del Golfo ed è durata 10 anni.
La seconda è la no-fly zone imposta sulla Bosnia durante il conflitto nell’ex Iugoslavia. In questa circostanza la Nato ha attaccato, in via aerea, le istallazioni militari a terra per intercettare gli aerei nemici. La terza “no-fly zone” è quella dichiarata in Libia nel 2011 e che poi si è trasformata in una campagna di supporto ai ribelli libici che hanno rovesciato il regime di Muammar Gheddafi. Imporre la “no-fly zone” in Ucraina significa entrare in guerra contro la Russia. Dobbiamo considerare che Putin ha ordinato l’allerta del sistema difensivo nucleare ed un attacco potrebbe essere molto rischio a livello globale.

Putin è superiore all’Ucraina, non alla Nato. Qual è il quadro generale degli schieramenti? In caso di intervento Nato, la Russia potrebbe essere sconfitta?

Andiamo ai dati. Per prima cosa sappiamo che la Russia ha 900.000 soldati in servizio e 2.000.000 riservisti. Sappiamo inoltre che ha accerchiato l’Ucraina con 190 mila uomini (i giornalisti ci raccontano di una fila di 60 chilometri di carri armati); che la Bielorussia ha schierato a favore di Putin 35.000 uomini; che la Crimea ne ha schierati oltre 12.000; che in Transnistria sono schierati 2000 uomini; che in mare ci sono 10.00 uomini.


Il Presidente della Bielorussia, Aleksandr Lukashenko, pubblica la mappa delle operazioni di Putin svelando la possibilità di un attacco che arriva fino in Transnistria.

Questa ipotesi è credibile perché, nonostante le perdite, Putin manda al fronte altri militari per provare a superare la resistenza di Kiev (consideriamo che Putin in totale può contare su circa 290 mila uomini) e non è escluso che potrebbe attaccare per via aerea. Attualmente la Russia sta accerchiando le città ucraine per svuotarle da dentro. Questo per evitare l’errore di sottovalutare la resistenza interna come è già accaduto in Cecenia.


Pian piano la Russia porta la guerra ai confini della Moldavia. Il giornalista bielorusso, Tadeusz Giczan, ha condiviso su twitter un video che mostra le truppe russe dirette verso la Moldavia e definisce l’immagine pubblicata da Lukashenko una “mappa per l’invasione”. Dal video emerge tutta la tattica usata in campo, dalla manovra a tenaglia su Kiev ed il blocco dell’autostrada della capitale verso la Polonia, ai militari russi che marciano verso Karkiv e Sumy e l’operazione dalla Crimea per arrivare al Donbass ed entrare in Dnepr. L’attacco alla  Transnistria, che attualmente è sotto il controllo della Moldavia, potrebbe essere fatto da Odessa che è già occupata dalla marina russa lungo la costa e da flotte navali speciali pronti ad attaccare il grande porto commerciale dell’Ucraina. Insomma, è ovvio che anche la Nato è preoccupata e si muove senza pensare al momento ad un attacco diretto alla Russia. 

L’ucraina ha 209.000 soldati in servizio e 900.000 riservisti. Le forze migliori sono a Kharkiv. Poi c’è la resistenza, non quantificabile, che difende Kiev, le strade comunicanti e altre città.

La Nato, che spesso ha mantenuto una posizione militare, nei confronti di Mosca, di deterrenza e difesa, dopo il primo attacco all’Ucraina ovviamente ha dispiegato forze militari più cospicue. La svolta è arrivata con il summit di Varsavia nel luglio 2016, quando fu decisa la costituzione di quattro gruppi tattici in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia. In previsione di un ipotetico attacco dei paesi Nato da parte della Russia, cosa che a mio avviso è improbabile che avvenga, è stata approvata la cosiddetta “Very Rapid Joint Task Force” che prevede l’arrivo di altri 5.000 uomini che sono già in allerta in Europa occidentale e che sono in grado di intervenire in pochi giorni. In caso la VJTF non fosse sufficiente per fermare un attacco russo, verrebbe mobilitata la “Nato Response Force” con 40.000 uomini e se anche tale forza non fosse in grado di respingere l’offensiva nemica, rimarrebbe solo una mobilitazione generale delle forze armate alleate, a partire dalle 90.000 truppe statunitensi in Europa. Insomma, se dobbiamo essere precisi le forze europee, nordamericane e turche ammontano a circa 3 milioni di unità. Anche un impiego parziale di queste forze (considerando che la Turchia non schiera) in un conflitto convenzionale (non nucleare) porterebbe alla sconfitta della Russia ma è escluso al momento un meccanismo di rinforzi di tale portata. Credo sia escluso anche un conflitto convenzionale perché inevitabilmente si trasformerebbe in un conflitto nucleare.

L’escalation della guerra in Ucraina e le continue minacce all’occidente di Putin potrebbero spingere il mondo ad una guerra atomica? L’attacco alla centrale nucleare di Zaporizhzhya rischia di far intervenire la Nato?

Non credo si possa arrivare ad una guerra atomica, così come penso che una guerra tra Russia e Nato sia uno scenario improbabile. Al tentativo di minaccia nucleare di Putin, Biden non ha risposto perché pensa che sia solo una provocazione. Certo, l’attacco alla centrale di Zaporizhzhya, la più grande d’Europa, è un attacco all’Europa e ci mette in forte allerta.

Putin ha messo in pericolo la sicurezza di tutti.

Se avesse colpito i reattori, sarebbe stato peggio del disastro di Chernobyl. Come abbiamo visto, purtroppo, Putin è imprevedibile e con lui tutto è possibile, quindi dobbiamo essere noi a non rendere possibile uno dei due scenari che comunque sarebbe devastante per tutti.

Ritiene possibile accompagnare il presidente russo al tavolo delle trattative per negoziare la pace?

Sulle trattative per un dialogo di pace non ci ho mai creduto perché penso che Putin non si fermerà. Forse, e non ne sono tanto convinta, l’unica a poter trattare con Putin è l’ex cancelliera tedesca, Angela Merkel.

L’Europa e l’Italia sono in guerra? Lei è a favore dell’intervento europeo in Ucraina?

Sarei ipocrita a dire che non sento di essere in guerra. Non siamo coinvolti direttamente ma siamo dentro questa guerra perché siamo tutti in pericolo. Ci siamo schierati contro la Russia. Anche la Finlandia e la Svezia che sono due paesi “neutrali” che non hanno mai aderito agli schieramenti internazionali. Proviamo ad evitare una guerra, come ho già detto, ma non possiamo girarci dall’altra parte senza aiutare una nazione che è stata invasa senza motivo.

Nessuno vuole la guerra. Chi vorrebbe farla? Ma credo che dobbiamo essere più razionali e meno ipocriti. Se la Russia invade l’Italia, cosa facciamo? Non utilizziamo le armi perché siamo pacifisti? Non chiediamo aiuto ad altri Paesi perché siamo pacifisti? Io credo che nessuno di noi debba fare la guerra ma non possiamo non pensare alla guerra. Pensare alla guerra significa essere preparati alla difesa del nostro Paese, dell’intera comunità internazionale di cui facciamo parte e anche di quei Paesi indifesi che non hanno scelto di fare una guerra ma che sono stati invasi come l’Ucraina. La solidarietà dei popoli non è solo uno slogan, è un principio per la quale ognuno è disposto a rinunciare un po’ a sè stesso per aiutare gli altri. E quando aiutare significa difendere militarmente e con le armi un Paese che diversamente sarebbe raso al suolo da un folle dittatore, io credo che sia nostro dovere agire secondo l’unico modo possibile. Qui non si tratta di schierarsi a favore o contro qualcuno. Questo è uno scenario di crisi dove ci sta un Paese aggressore e un Paese aggredito. Cosa dovrebbe fare un Paese aggredito? Non impugnare le armi e farsi sparare in faccia o farsi bombardare addosso? L’Italia ripudia la guerra ma se dovesse diventare paese aggredito, che facciamo? Sventoliamo le bandiere della pace e ci facciamo uccidere tutti?

Ripeto, dobbiamo evitare una guerra ma se Putin continua a non fermarsi va in qualche modo bloccato. Pertanto penso che ci dobbiamo preparare a tutto.

Stiamo fornendo mezzi e armi all’Ucraina. E’ possibile una ritorsione contro il nostro Paese?

Gli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Germania stanno fornendo armi potenti e di ultima generazione all’Ucraina, necessarie per difendersi dai missili lanciati dalla Russia. L’Italia fornisce quello che può e quello che ha in questo momento da offrire. La resistenza, per intenderci, combatte con le nostre armi che sono facili da usare. Stiamo provando ad aiutare gli ucraini a difendersi da soli.

Nel 2019 l’Italia ha esportato 105,4 milioni di euro di armi verso l’Arabia Saudita e 89,9 milioni verso gli Emirati Arabi.  E nel periodo in cui la Russia invadeva la Georgia e la Crimea, dal nostro Paese partivano armi, blindati e munizioni verso la Russia. Abbiamo dato armi a tutti, anche ai trafficanti di esseri umani libici e nessuno ha battuto ciglio. Non erano di certo Paesi che dovevano difendersi da minacce imminenti.

Che ruolo ha la Cina in questa crisi? Era a conoscenza delle intenzioni di Putin?

La Russia e la Cina, sin dagli anni novanta, hanno formato una partnership strategica che ha fatto da balancing all’egemonia americana. A partire dalla crisi della Crimea del 2014, la Russia ha legato sempre più la sua economia e la sua politica estera alla Cina. Il problema della Russia è che questa partnership è sbilanciata a favore di Pechino e che ha perso l’influenza su India e Vietnam. A seguito di questa invasione, la Russia si legherà sempre più alla Cina, rischiando di trovarsi preda di una partnership che potrebbe potenzialmente impattare sulla sua politica estera, laddove dovesse intraprendere azioni considerate non convenienti per la Cina. L’invasione dell’Ucraina, se prima veniva guardata con interesse dalla Cina (poteva creare un precedente positivo per Taiwan), adesso rischia di mettere in imbarazzo Pechino. Dall’altra parte, la Cina, nonostante non mancano tensioni con l’Occidente, ha sempre provato ad allacciare rapporti con Gli Stati Uniti e a rimane ferma sul mantenimento dell’integrità territoriale dei paesi e più in generale sulla sua posizione “responsabile” all’interno della comunità internazionale. C’è anche da dire che tra Cina e Ucraina vi è un’amicizia lunga e rispettosa. Poco prima che scoppiasse la crisi Xi Jinping aveva telefonato al presidente ucraino Zelensky per congratularsi per i 30 anni di amicizia tra i due paesi. La Cina è il principale partner commerciale dell’Ucraina. L’ Ucraina è anche un partner chiave della “Belt and Road Initiative” cinese. Certamente la Cina ha osservato l’evoluzione della crisi, aspettando di vedere le reazioni della Comunità internazionale. Forse non si aspettava le sanzioni dure e l’attenzione alta da parte degli Stati Uniti e dell’Europa ed è per questo che ha sempre avuto atteggiamenti ambigui. A mio avviso non si aspettava neanche questa invasione. Non credo che la Cina fosse a conoscenza delle intenzioni di Putin, davvero.

Il cambiamento geopolitico di cui si discuterà nel dibattito transatlantico nella prospettiva 2030, insieme alla Cina, sarà determinato da questa crisi che il Cremlino ha imposto anche all’Europa?

Il dibattito transatlantico si svilupperà anche alla luce di quello che sta accadendo, si discuterà di difesa europea e Nato. Si discuterà di investimenti europei nel settore militare che costituiscono un grave problema in caso di un presunto conflitto ad alta intensità (abbiamo investito poco e in modo disomogeneo). Il disimpegno militare degli Stati Uniti dall’ampia area che va dal Marocco all’Afghanistan, porterà gli europei a gestire da soli le crisi attuali e quelle che verranno, così come il contrasto al terrorismo, per cui si dovranno dotare di equipaggiamenti necessari da utilizzare in Europa e in ambito Nato. Ma saranno tanti gli argomenti di cui si discuterà. C’è la questione di un possibile scontro tra Stati Uniti e Cina sull’Indo-Pacifico e tante altre sfide da affrontare e che verranno. Sarà un interessante e determinante dibattito.

L’America di Biden e l’intera Comunità Internazionale come hanno gestito la crisi Ucraina dopo l’invasione del Donbass?

Credo che saranno il tempo, lo sviluppo e l’esito della guerra a dirci come hanno gestito questa terribile crisi. L’intelligence americana aveva intuito un possibile attacco? Forse. Certamente qualcosa si sapeva ma i segnali di pericolo a tutta la Comunità Internazionale sono arrivati da Putin, non dall’America. Questi segnali li abbiamo sottovalutati.

L’unica certezza che abbiamo in questa vicenda è quella che in Donbass si combatte da otto anni e nessuno, Europa e Italia comprese, ha mai pensato di occuparsi della questione che logicamente, prima o poi, sarebbe sfociata in un’invasione dell’Ucraina. L’occidente si è fatto trovare impreparato perché ha fatto finta che in Ucraina non ci fosse già una guerra. Siamo abituati a classificare le guerre a nostro piacimento senza considerare che tutte le guerre portano morte e distruzione. L’interesse alla guerra a casa di altri non può esistere solo quando rischiamo di essere coinvolti militarmente o economicamente anche noi.

Se guardiamo alla gestione degli Stati Uniti e dell’intera Comunità Internazionale alle crisi in Medioriente e in Africa – dalla Libia, alla Siria, all’Iraq e per ultimo all’Afghanistan – vediamo solo il civilissimo Occidente che pensa di importare democrazia, civiltà e addestramento militare, di  decidere chi comanda a casa di altri, esportare risorse utili nei propri paesi a discapito dei Paesi sfruttati e lasciare poi tutto al caso, destabilizzando questi territori e creando gravi problemi come l’Isis, i trafficanti di esseri umani e tanto altro ancora che siamo poi costretti a combattere. Il problema, però, è che qualcosa sta cambiando. Come dimostrano gli eventi in Afghanistan e in Ucraina, il potere e l’influenza tra Occidente e Oriente sta iniziando a subire un vero e proprio mutamento. Gli Stati Uniti si indeboliscono e gli altri Paesi, come la Russia, ne approfittano.

Dottoressa Spata vorrei concludere questo nostro primo approfondimento con un messaggio di speranza. Le chiedo quindi se la forte coesione che sta dimostrando l’Europa in questo frangente e la concreta solidarietà che sta fornendo ai milioni di profughi ucraini possa finalmente rappresentare la pietra fondante su cui ergere gli Stati Uniti d’Europa così come li aveva immaginati Altiero Spinelli.

Gli Stati Uniti d’Europa sarebbero un sogno che si avvera ma purtroppo devo dire che siamo ancora lontani da questo disegno politico.

Gli effetti negativi della guerra di Putin portano certamente ad una maggiore coesione dei Paesi europei. Per fare un esempio, questa guerra ha spinto l’Europa ad avviare un “phase out dal gas russo. Negli ultimi anni, l’Europa ha cercato di diversificare le sue importazioni di gas attraverso il gasdotto TAP e attraverso maggiori importazioni di LNG americano e qatariano. Tuttavia, la quantità di gas importato non è sufficiente a coprire il fabbisogno europeo. Certo, un piano europeo per liberarsi dal gas russo, richiede anni per essere implementato con successo ma il semplice annuncio di volerlo fare rappresenta un importante cambiamento.

Rispetto alla concreta solidarietà, c’è sicuramente una novità che potrebbe cambiare le politiche europee in tema di accoglienza dei migranti, anche se ne dubito. Non dimentico le politiche di respingimento europee che hanno negato l’asilo politico a chi ne aveva di diritto nel Mediterraneo, nelle rotte balcaniche, a Ceuta, a Ventimiglia ecc…

L’Europa per aiutare i profughi ucraini, attiverà per la prima volta la direttiva 55 del Consiglio dell’Unione europea del 20 luglio 2001. Questa direttiva non solo è rimasta dormiente per circa vent’anni ma era in procinto di essere cancellata definitivamente dal Parlamento europeo. La direttiva consentirà ai profughi ucraini di ottenere una “protezione temporanea”, ovvero un permesso di soggiorno della durata di un anno e rinnovabile fino ad un massimo di due anni.

L’Europa, ha negato questo strumento di protezione sia di fronte all’emergenza libica che era quasi di questa portata e anche nella recente crisi afghana. Adesso si stimano 4 milioni di profughi ucraini e, a differenza delle altre crisi, questa volta sono direttamente coinvolti i paesi del Gruppo di Visegrad, ovvero Polonia e Ungheria.

Per parlare di vera solidarietà è necessario cambiare il sistema di accoglienza europeo, cambiare il regolamento di Dublino che blocca i Richiedenti Asilo politico nel paese di primo ingresso e definire le ricollocazioni. Questo potrebbe essere il momento giusto per farlo.

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