Mara: vittima di una violenza senza lividi apparenti

0
886

Mara, il dolore che urla in una vita in silenzio; lividi sull’anima e filo spinato sulle labbra.

La violenza psicologica non lascia lividi evidenti, si esprime con gesti, parole, sguardi e si diffonde sotto pelle, nell’anima, annientando ogni capacità di reagire.

Tra le mura domestiche e le ombre familiari che non si dissolvono al sole esiste un’intimità talora crudele, nascosta, sofferta. Non si esprime con lividi, ma ristagna negli sguardi sfuggenti, nelle mani tremanti, nell’isolamento forzato di una vita che non deve “far rumore”.

Una violenza psicologica che fatica a venir fuori per la sua natura subdola e silente, per il infido scopo: tabula rasa di una personalità costruita nel tempo, della dignità, delle sicurezze conquistate con l’esperienza, dell’amor proprio.

Ho intervistato una donna la cui voce è venuta fuori a fatica, tra pause assordanti e sguardi troppo eloquenti per essere ignorati.

Mara, da quanti anni è sposata con suo marito?

Sono 22, ma ci conosciamo da oltre 30 anni; ancor prima non ricordo di aver avuto una vita e lo sottolineo con rammarico, amore soffocato, disperato e tradito.

Mi parli dei suoi ricordi felici

Eravamo una coppia affiatata, ci invidiavano la complicità e la voglia di reinventarci. A me piaceva molto cucinare e casa nostra era sempre piena di amici che adoravano saggiare i miei esperimenti culinari. Lui era orgoglioso di me, il “suo trofeo” mi chiamava ed io mi sentivo lusingata, unica e insostituibile; ignoravo che in quello che credevo un complimento si celava il più torbido degli inganni, la più crudele delle verità … io, la sua donna oggetto!

Quando è cambiato il suo atteggiamento?

I segnali sono stati graduali, quasi impercettibili per una donna innamorata che leggeva ogni attenzione squalificante come la gelosia di un uomo folle d’amore. Io mi sottraevo alla luce che emanavo perché lui non patisse nella mia ombra.

Tutti gli ripetevano “con tua moglie hai vinto il terno al lotto” e lui rispondeva con un sorriso stereotipato, poi con una smorfia di disapprovazione che solo io sapevo riconoscere, poi con un’intimità squalificante, sempre più egocentrata.

La domanda è d’obbligo. E’ diventato violento?

Non mi ha mai toccata, ha smesso persino di accarezzarmi ed era l’unica intimità che mi ha sempre concesso.

Non ho conosciuto altri uomini, lui è stato l’unico e ho accettato il nostro modo di essere coppia perché l’unico che conoscevo.

Aveva una sessualità “bianca”, come la chiamava lui, rispettosa come doveva essere per un giglio candido come me e così mi incantava, convincendomi che una sua “mancanza” era la prova del profondo rispetto che nutriva per me.

Povera ingenua …

Mara, mi sta dicendo che suo marito non esprimeva alcuna passione nel matrimonio?

Nel matrimonio, no!

Mi sembra di capire che lei gli attribuisce una vita sessuale parallela, fuori dal vostro talamo. Se la sente di approfondire?

(Sorriso amaro) io ho smesso di cucinare, di invitare gli amici, di guardarmi allo specchio; lui mi voleva in penombra e quando lo dimenticavo lui iniziava un estenuante rituale di insulti sottili che mi ricordavano la mia mancanza di autonomia economica, il mio scarso spessore intellettivo e culturale, il mio aspetto banale, le mie innumerevoli incapacità … ma soprattutto mi rammendava quanto lui mi fosse indispensabile.

Non era mai palese nei suoi continui tentativi di sminuirmi, sottile e velenoso come il più letale ed insapore dei veleni. C’erano momenti in cui diventava perfido e rincarava la dose fino a sfinirmi.

Con il tempo ho notato che queste fasi si intensificavano dopo lunghe assenze da casa. Tornava a casa esaltato, ma non era ubriaco; sapeva di “altra vita” a cui non mi era concesso nessun accesso.

Sospettava una relazione parallela? Un’altra donna?

Ehm, sarebbe stata rassicurante un’amante! In qualche modo l’avrei accettata, subita. Mi è difficile parlarne.

Tutto ciò che ho vissuto era completamente distante dalla mia educazione, ho dovuto fare una faticosissima operazione di “estraniamento”, ho preso le distanze emotive.

Quella vita ha smesso, pian piano di appartenermi, io non appartenevo più a me stessa. Quel maledetto giorno ho rischiato di fare qualcosa di irreparabile, poi ho pensato ai miei genitori anziani.

I fantasmi con il bavaglio

Mara, nonostante le sue evidenti difficoltà, mi arriva la sua necessità di liberarsi dei suoi fantasmi…. Nonostante le sue evidenti difficoltà, mi arriva la sua necessità di liberarsi dei suoi fantasmi …

I miei fantasmi? Direi i miei demoni…Quel giorno tornò a casa in compagnia di un ragazzo, appena maggiorenne, molto curato, spavaldo fino alla sfrontatezza.

Non avevo spiegazioni da darmi, ma sentivo una devastante sensazione di torbido…Non me lo presentò ed io non osai chiedere.

Raggiunsero la nostra camera da letto e chiusero la porta alle loro spalle. Non potevo vedere cosa stesse succedendo lì dentro, ma potevo e dovevo udire tutte le risposte ad anni di dubbi.

Lui non mi cercava sessualmente perché non avrebbe mai potuto desiderarmi. Tornò ancora, sempre più frequentemente e spesso con un altro amico.

Si trattenevano tutta la notte costringendomi a dormire sul divano, adiacente alla parete della nostra camera, in silenzio, io.

Immagino quanto l’abbia ferita…

Le mie ferite sanguinavano senza alcuna possibilità che si rimarginassero. Prigioniera delle oscene fantasie di mio marito e di un corpo la cui anima si era cristallizzata, evaporata.

Non provavo più nulla se non disprezzo per me stessa.

Mi sentivo incapace di fare la spesa quotidiana, di scegliere un vestito, di decidere il pranzo o la cena, di ribellarmi. Ero priva divolontà e di capacità di volere.

Mara, come ne è uscita?

Non per mio merito. Non ho alcun lieto fine da raccontare in cui io sia stata capace di riscattarmi.

Una notte, una delle tante passate sul divano, qualcosa mi ha mossa dal mio torpore fisico e come spinta da una volontà che non mi apparteneva, sono scesa per strada, seminuda.

Mi ha fermata una pattuglia dei carabinieri e poco dopo mi sono ritrovata in una stanza verde pastello, di fronte al sorriso rassicurante di una donna a cui ho raccontato il mio quotidiano quasi fosse una cantilena.

Da lì inizia un percorso accidentato e sofferto di consapevolezza in cui molto lentamente mi sono riappropriata della mia vita, del mio dolore negato, del mio specchio.

Ora come e dove vive?

Sono in una struttura per donne maltrattate in compagnia di “amiche” con cui condivido ogni sfumatura della mia vita passata.

Di certo la mia vita è cambiata, ma uscire dal torpore non è stato e non è facile. Ora so di essere più di un “trofeo”, ma quanta fatica …

Mara, ha condiviso con noi un’esperienza molto forte ed io non ho parole per ringraziarla. Cosa vorrebbe dire alle donne che subiscono tale forma subdola di violenza?

Abbiate cura della vostra anima, niente e nessuno può sminuirla, ferirla o tenerla in ostaggio!

Parlate, parlate, con chiunque; qualcuna saprà ascolarvi e “prestarvi” la forza che avete riposto in un cassetto di cui un altro trattiene la chiave.

Grazie ancora, Mara.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here